Cè il calciatore disciplinato, che non si espone pubblicamente e risponde alle interviste con frasi di circostanza imparate in anni di carriera: luoghi comuni ripetuti come mantra nelle dichiarazioni domenicali del dopo partita. E poi cè Paolo Sollier, il comunista. A Cossato i tifosi lo chiamano Ho Chi Minh. A Perugia Mao. Quando segna alza il pugno al cielo, simbolo distintivo delle sue idee e tratto identificatore delle sue origini proletarie. Piemontese, militante e compagno, Sollier negli anni Settanta passa dal calcio di periferia ai grandi palcoscenici della Serie A. Con il Perugia di Castagner, conquista una storica promozione nella massima categoria. È il tempo in cui si gioca con un portiere `murato in porta, un libero staccato di venti metri. Un calcio, come diceva Socrates, `che si concede il lusso di far vincere il peggiore: non cè niente di più marxista o gramsciano del calcio. Sollier diventa un riferimento per la moltitudine di studenti e lavoratori impegnati nelle contestazioni, decisi a cambiare il mondo. Invece dello Champagne, ai compagni regala libri: le poesie di Pavese, di Lee Masters, di Evtušenko, di Prévert, i romanzi di García Márquez, i fumetti di Corto Maltese. Diventa lesempio di come certe istanze possano entrare nel mondo del calcio, che in Italia è per antonomasia lo sport più popolare, ma i cui protagonisti-idoli sono spesso molto lontani dal popolo. Questa è la sua storia, dentro e fuori dal campo.
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