Il 1992 è stato l'anno del famoso "Vertice della Terra" di Rio de Janeiro, che ha sancito solennemente - vent'anni dopo la prima conferenza delle Nazioni Unite su "Ambiente e sviluppo", tenutasi a Stoccolma nel 1972 - la volontà unanime dei Governi di imboccare la strada dello sviluppo sostenibile. E ne ha dato una definizione ufficiale: "un modello di sviluppo in grado di assicurare un dignitoso livello di benessere agli abitanti del globo e alle generazioni future, nei limiti della capacità di carico del pianeta". In altre parole, senza erodere in maniera irreversibile le risorse naturali che costituiscono la base della nostra economia. Il Vertice di Rio, quindi, ha riconosciuto che esistono limiti alla crescita, che non si può avere crescita illimitata se le risorse sono limitate. Non è più possibile continuare con un modello di sviluppo che condanna il pianeta e consegna gran parte dei suoi abitanti ad una vita 'non umana'. Uno sviluppo doppiamente insostenibile: dal punto di vista ecologico, perché in quarant'anni abbiamo divorato il 30% delle risorse naturali della Terra (acqua, suolo, foreste). Ma anche dal punto di vista sociale, perché non è più accettabile che il 14% degli abitanti dei Paesi ricchi divori l'80% delle risorse, lasciando agli altri le briciole. L'interdipendenza esige, quindi, una globalizzazione diversa: una globalizzazione dei diritti, delle solidarietà e delle responsabilità. Realizzato con la collaborazione di Silvia Perdichizzi e Gabriele Salari.
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