L'unica volta che l'uomo in nero si è cimentato con la scrittura creativa lo ha fatto per parlare dell'uomo in bianco, l'Apostolo Paolo, raccontato e immaginato da Johnny Cash in un romanzo visionario del 1986, Man in White. Il bianco e il nero, due colori che attraversano l'immaginario lirico di questo autore, nato in Arkansas ma cittadino, per scelta, del Tennessee, così come la realtà e l'immaginario letterario di quell'America che per tutto il secolo scorso (e ancora oggi) ha messo in scena l'equilibrio precario del sogno americano (la luce, il mito) rivelandone la fragilità e le ombre (il lato oscuro, la dura realtà di chi si trova ai margini o non riesce a "rigare dritto"). Nelle liriche di Cash, i due colori si confondono per riflettere temi cari anche a grandi classici della letteratura degli Stati Uniti, soprattutto quella del sud: da William Faulkner a Truman Capote; da Harper Lee a Cormac McCarthy. Sotto la maschera, costruita ad arte, del "fuorilegge" che si oppone all'autorità e considera la "legge" e la "giustizia" due cose diverse, la produzione musicale di Cash dialoga dunque con il canone letterario nordamericano del suo tempo, andando ben al di là dei temi biblici e degli inni sacri che lo hanno reso famoso. I testi di Cash, che aveva ascendenze Cherokee per linea paterna, sono, infine, in dialogo anche con quelli scritti da tanti autori indigeni, da Leslie Marmon Silko a Tommy Orange, a Beth Piatote, a dimostrazione che il bianco e il nero sono solo gli estremi di un percorso identitario molto più sfaccettato di quello che racconta Cash soprattutto come leggenda country.
Anonimo -