Questi scritti, dedicati al problema dell'educazione e maturati lungo l'arco di un trentacinquennio, offrono un'ampia testimonianza del graduale distacco di Jung dalla teoria freudiana della sessualità infantile e seguono passo passo l'elaborazione dei capisaldi teorici della psicologia analitica. Il primo saggio della raccolta, 'Conflitti dell'anima infantile' (1910), è infatti ideato come un parallelo al caso del 'piccolo Hans' e presenta le fobie e le curiosità in materia sessuale che emerge anche in Anna, una bambina di quattro anni, figlia di un padre 'edotto in psicanalisi' ed educata senza ipocrisie. Dall'analisi rigorosamente freudiana delle conversioni e dei sogni della 'piccola Anna', Jung passerà poi ad orizzonti più ampi e a un pensiero più autonomo e originale nei confronti del maestro. Egli scoprirà anche nelle fantasie infantili la forza ammaliante degli archetipi, nonché la presenza della tendenza inconscia - nella psiche individuale - a elaborare in maniera archetipica i dati della realtà, al punto da trasformare individui di per sé innocui o addirittura insignificanti in dèi e dee, terribili agli occhi dei loro figli: "Dietro ogni singolo padre c'è infatti l'immagine eterea del Padre, e dietro il fuggevole fantasma della propria madre traspare la magica figura della Madre". Una posizione critica nei confronti di Freud e di Adler è assunta da Jung anche nel saggio centrale del volume, "Picologia analitica ed educazione" (1926/1946), riproposto qui nella storia tradizione di Roberto Bazler: in esso Jung discute ed esemplifica alcuni gruppi di disturbi psichici infantili, tra cui il deficit intellettuale, l'epilessia, la nevrosi e la psicosi, e insieme presenta i fondamenti del suo metodo di indagine dell'inconscio. L'idea basilare esposta anche negli altri scritti nati da conferenze tenute da Jung di fronte a un pubblico di educatori ("Il significato dell'inconscio nell'educazione individuale", 1928; "Il bambino dotato", 1943 ecc.) è quella [...]
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