"Per attuare veramente la pace, non basta fare la guerra. Bisogna creare condizioni di vita che permettano agli uomini di convivere pacificamente, nel reciproco rispetto, dando loro la possibilità di capirsi e di lavorare, ognuno secondo le proprie possibilità, in modo da sfuggire alle angosce della miseria. Essere poveri significa non essere ricchi, ma essere, tuttavia, in grado di soddisfare i bisogni fondamentali dell'esistenza. La miseria, invece, è avvilimento totale, è causa di cieca violenza, d'ingiustizia e di perdizione". Pacifista e pacificatore convinto, il "Papa buono" è ritratto in questa cronaca biografica, fatta anche di incontri diretti, preso da una vita in verità movimentata e avventurosa in cui però tutto appare sempre sereno come nei ricordi di un essere umano che non riesca a vedere il male del mondo. Giovanni XXIII sembra affascinare Fusco, anche perché depositario di una miniera di aneddoti, di esperienze vissute e tipi umani, che il santo personaggio da grande affabulatore sapeva raccontare e lietamente usava come parabole buone per rendere più efficace la missione pastorale. E nella prosa effervescente del suo imprevisto biografo, tali parabole scorrono con una chiarezza e bonomia contadina nella quale è con naturalezza catturato tutto lo spessore antico. Ma cosa spingeva l'impertinente e baldanzoso Fusco a occuparsi di papi e di chiesa? Come spiegare il suo passare dalla storia erotica del Ventennio, dalle case chiuse, dalla guerra d'Albania e dai duri di Marsiglia a quest'affettuoso ricordo del grande papa del Concilio Vaticano II? Forse perché, negli occhi di Giovanni XXIII ritrovava riflessa anche una parte della sua stessa ironica e divertita curiosità per la varietà del mondo e di chi lo popola e lo complica.
Anonimo -