Per essere democratici oggi è ancora necessario essere antifascisti? Il riferimento alla Resistenza è tuttora determinante? A quale Resistenza ci si deve riferire? Sono questi gli interrogativi con i quali si confronta Gian Enrico Rusconi, ripercorrendo alcuni passaggi decisivi che dalla Resistenza armata portano alla democrazia del 1945-47, un momento centrale della nostra memoria storica e identità collettiva che si riflette inevitabilmente sul grado e sulla qualità della legittimazione della Repubblica. La ricognizione storica e politica dell'autore è volta a recuperare il valore e il significato reali dell'evento resistenziale nella pluralità delle motivazioni dei diversi antifascismi. I principali nodi toccati dall'analisi sono: l'attendismo di molti strati popolari, ormai dissociati dal fascismo, ma preoccupati più dei costi umani della guerra che di schierarsi attivamente con la Resistenza, le difficoltà di rapporto fra partigiani e alleati, il problema della violenza e del terrorismo (il caso Gentile), la 'querelle' sull'epurazione mancata e sull'amnistia, la strategia togliottiana e la nascita della questione comunista. Nell'esaminare infine i problemi connessi al postfascismo, Rusconi suggerisce che nel successo del centro-destra si esprima una tacita riabilitazione dell'attendismo storico, quasi a sancire il superamento dei concetti di fascismo e antifascismo. In realtà, soltanto emancipando l'antifascismo dalle ipoteche comuniste e dalle incongruenze del postfascismo è possibile riaffermare il nesso tra Resistenza e democrazia.
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