Che cosa si aspettava di vedere André Gide quando, il 17 giugno 1936, partì per la visita in URSS che l'avrebbe portato addirittura sulla tribuna ufficiale della Piazza Rossa, accanto a Stalin? E lui stesso a dirlo, nelle prime pagine di questo libro scritto a caldo, pochi mesi dopo quell'esperienza: «L'URSS era per noi un esempio, una guida... Ciò che noi sognavamo, che osavamo appena sperare, aveva preso corpo in quella parte del mondo. Era la terra dove l'utopia stava per diventare realtà». Le prime visite dello scrittore - «adulato, vezzeggiato, festeggiato» - a fabbriche modello, case di riposo e parchi ricreativi sembrano confermare le sue speranze: ovunque regna un «fervore gioioso», la gioventù è «meravigliosa», i volti splendono di felicità. Ma poco a poco un'altra realtà, invisibile e allarmante, traspare dietro lo spettacolo accuratamente predisposto per l'illustre visitatore: una realtà fatta di conformismo e di delazioni, di servilismo, di miseria nascosta. Tornato in Francia, Gide pubblica coraggiosamente le proprie impressioni, attirandosi dagli ex compagni insulti anche feroci; da questa polemica nascono le Postille al mio ritorno dall'URSS, in cui al momento della delusione emotiva succede una riflessione pacata, nutrita di letture differenziate e illuminanti, da Trockij a Souvarine, da Victor Serge a Yvon.
Anonimo -