Tra il 1943 e il 1945, migliaia di persone - non solo italiane - sono sprofondate nel ventre duro del Carso. Le foibe, fino allora solo aspre doline con un inghiottitoio sul fondo, sono diventate cimiteri senza cielo. Negli anni successivi, in seguito all'assegnazione dell'Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia, trecentomila abitanti di quelle regioni, quasi tutti italiani, hanno dovuto abbandonare casa e terra per non rimettervi mai più piede. La vicenda delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata del secondo dopoguerra sono ferite dell'anima collettiva alle quali la memoria non ha saputo riservare quell'attenzione capace di curare i segni del tempo. Il racconto di chi ha vissuto tali esperienze in prima persona può tuttavia aiutare a illuminare stanze meno frequentate dalla ricerca storica. Nelle pagine di questo libro, Graziano Udovisi, l'unico sopravvissuto alle foibe che sia ancora in vita, a distanza di sessant'anni rievoca con impressionante dovizia di particolari quelle ore in cui la morte vicinissima gli fu miracolosamente risparmiata. Quindi Piero Tarticchio, esule di Gallesano, che ha perso il padre e altri parenti in una foiba, racconta come in ogni istante della sua vita debba fare i conti con quel vuoto e con l'esilio, trovando nella pittura e nella scrittura un aiuto a stemperare un carico emotivo debordante. Infine, la testimonianza di Natasa Nemec, una storica slovena di Nova Gorica, che da anni conduce ricerche sui caduti nelle foibe, sfidando in molti casi la diffidenza di colleghi e connazionali. Tre sguardi diversi, tre esperienze convergenti che si intrecciano per contribuire a ricomporre un frammento di storia troppo spesso dimenticato.
Anonimo -