Vita e morte di un intellettuale, questo potrebbe essere un titolo alternativo della Trilogia della rabbia, il ciclo di romanzi che segnò il vertice della produzione di Luciano Bianciardi. Tre testi, come i tre movimenti di un itinerario picaresco, il cui finale amaro non cancella la giocosità e lironia sottese alle folgoranti descrizioni e alle spietate analisi che mettono alla berlina le contraddizioni e le storture del miracolo economico in chiave culturale. Si parte dalla vitalità scapigliata, disordinata e divertita del Lavoro culturale, storia di formazione di un intellettuale periferico a cavallo tra limmediato dopoguerra e gli anni cinquanta: cineclub e circoli culturali scalcagnati sono lo sfondo su cui si sviscerano problemi, si pongono istanze, si progettano saggi. Si creano, insomma, le basi per un futuro migliore. Ma per ottenerlo, quel futuro, tocca andare a prenderselo là dove tutto succede, dove le cose si fanno: ed ecco quindi i due fratelli protagonisti dellIntegrazione giungere a Milano e lì entrare in contatto con lindustria culturale in tutta la sua tuttaltro che splendida realtà: nevrosi, riunioni e discussioni senza senso, e un regime lavorativo che non si distacca poi granché da quello delloperaio alla catena di montaggio e spinge allesaurimento ogni slancio creativo. Le conseguenze inevitabili sono frustrazione e risentimento che vanno sfogate con gesti distruttivi ed eclatanti, come far saltare in aria un grattacielo per vendicare i minatori morti in un incidente sul lavoro. Questo sì, si dice il protagonista della Vita agra, sarebbe un vero gesto di ribellione. Eppure, se lantagonismo nei confronti dei padroni e del sistema che questi hanno imposto è logico e inevitabile, non è semplice mettere a tacere quel subdolo desiderio di riconoscimento che ogni volta spinge a tornare, con la coda tra le gambe, a chiedere dellaltro lavoro mal pagato. In uneterna oscillazione tra ribellione e sottomissione che affatica, logora, uccide.
Anonimo -