Sergio Quinzio ha compiuto con quest'opera un'impresa temeraria: un commento alla Bibbia che non pretende a sicurezze filologiche o a sottili variazioni dotrinali, ma si oppone frontalmente a un mondo dove "si cela nel linguaggio scientifico degli interpreti la nostalgia del sacro, e nel loro linguaggio fideistico lo scetticismo". Dopo essersi rifiutato di guardare al Libro con "gli occhi dell'antico israelita, per il quale le Scritture erano il linguaggio materno, non possiamo fabbricarceli", Quinzio osa porre il suo commento 'in limine' al nuovo caos, a quel succedersi dell'ordine profano all'ordine sacro che è il corso stesso della storia, nell'attesa escatologica di un 'andare oltre a sacro e profano'. "La genesi si compie per mezzo dell'apocalisse", questa sembra essere la chiave del suo commento. Nella visione di Quinzio, ogni parola delle scritture passa attraverso successive esasperazioni, e il suo senso vero può essere dato soltanto dal riflettersi su tutta la storia sacra e profana di una onnipresente esasperazione finale: "l'opera di Dio, anziché compiersi dispiegandosi felicemente nei giorni della creazione, per il 'mistero d'iniquità' si compie nei millenni che precipitano verso la catastrofe, e questa vicenda consiste in una continua crescita dell'orrore e insieme, per il bisogno di consolazione che suscita, della tenerezza, nel Signore come nel 'piccolo resto' che spera la sua speranza". Per il suo carattere del tutto unico e sorprendente e per la sua rovente tensione, questo commento guiderà certamente a molte scoperte nelle parole della Bibbia ogni sorta di lettori.
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