"Hammet ha restituito il delitto alla gente che lo commette per ragioni vere o solide, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori, e lo ha fatto compiere con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali" scriveva Raymond Chandler del suo maestro, l'ex detective della Pinkerton fondatore della 'scuola dei duri' del giallo americano. Hammett aveva compiuto una rivoluzione nella letteratura, consistente tutt'altro che nell'eliminazione del mistero e del fascino dell'enigma nelle storie poliziesche. Aveva semplicemente scoperto la chiave che domina ancora oggi il thriller: che sotto la scorza delle moderne città anonime, nella vita quotidiana tutta uguale della gente ordinaria che si vede passare dalla vetrina di un bar, si celano reti segrete più fitte e oscure del più fosco maniero inglese. E queste reti, Hammett, le faceva seguire e dipanare, passo dopo passo, da detective uomini veri, in presa diretta: come nell'elettrizzante, lunghissimo pedinamento su cui poggia la struttura narrativa di questo "Un matrimonio d'amore", inedito hammetiano. Ed è una detective story da modello: il brutto Rush, poliziotto di mezza età che ha lasciato la polizia per un suo motivo non confessato e forse da sorvolare, indaga su una cospirazione che ha preso in mezzo una giovane donna in un omicidio. Da essa, lo stile inconfondibile capace di comunicare il ritmo del tempo presente, della contemporaneità che rese Hammett un autore di culto, riesce a cavare, nello squallore di personaggi che in nulla si innalzano, una malinconica e forte poesia dell'umanità.
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