Si è molto riparlato, in tempi recenti, di questo libro che al suo primo apparire, una quarantina d'anni fa, fu accolto - com'era quasi regola per tutto quanto non rientrasse nella gamma del consenso - da gelo prudente di molti conformisti, sarcastici vituperi di tanti potenziali coimputati, rassegnato sconforto di chi aveva capito la natura reale del comunismo ma si sentiva respinto nel ghetto dei nemici del popolo, o quanto meno degli oscurantisti. Riproporlo oggi ha un senso che va ben oltre quello della pubblicazione d'occasione. Scrive Giorgio Bocca, nella prefazione: "Bisogna rileggere queste sei biografie dei grandi apostati del comunismo per rendersi conto di quanto sia labile, anzi inesistente, la memoria politica; di come oggi, a comunismo morto, si possa discutere su giornali e riviste riducendolo a una incomprensibile vicenda di malintesi, di equivoci, di errori da subito comprensibili a lume della ragione, e non l'impasto di utopia e di potere, di sogno e abiezione, di speranza e di paura che legò a sé milioni di uomini, riproducendo nella sua religione laica tutti i conformismi, le seduzioni, i rituali, le attese salvifiche, le condanne infernali di quelle ecclesiali, della cattolica in particolare". Si tratta infatti di biografie esemplari, di persone che la stessa elevata qualità intellettuale e morale aveva portato all'adesione prima e al ripudio dopo, rischiando molto, soprattutto in termini di quella popolarità che invece premiava abbondantementei servi del dio che pareva allora ben saldo sul piedistallo. Viene naturale chiedersi come mai, allora, quel loro appello alla ragione sia rimasto inascoltato; ma, scrive ancora Bocca, "non si capiscono i testimoni del 'Dio che è fallito' se non ci si rende conto che negli anni dell'egemonia culturale comunista che arriva da noi fino agli anni Settanta la cultura o è marxista o non è".
Anonimo -