«Non sembra il caso di suggerire ai nostri lettori di non
aspettarsi i grandiosi affreschi di Tucidide o Tacito, di
Machiavelli o Gibbon. Tutti sanno che non siamo storici
e non avremmo comunque il mestiere e il genio per
guardare a tali altezze. Ma da quei maestri una lezione
l'abbiamo pur appresa: la Storia obiettiva, la Storia imparziale,
la Storia definitivamente veritiera non esiste,
può essere soltanto un'aspirazione, una meta intravista
e irraggiungibile.
Ogni pagina di questo libro è arbitraria e contestabile.
Abbiamo scelto 150 giornate a nostro avviso significative,
distribuendole equamente fra i quindici decenni
dell'Italia Unita. Ma cosa vuol dire significative?
Alcune erano obbligatorie, la breccia di Porta Pia, Caporetto,
la marcia su Roma, il rapimento Moro, Mani
Pulite, eccetera. Ma molte altre, non senza lunghe discussioni
tra di noi, sono state incluse o escluse, con
intendimenti ragionevoli e tuttavia opinabili. C'è cronaca
rosa e c'è cronaca nera, sinistri figuri stanno accanto
a purissimi eroi, non manca Pavarotti, ma è assente
la Callas. C'è il Vajont, ma non il Polesine. L'assassinio
di Casalegno e non quello di Tobagi. Primo Carnera,
Enrico Cuccia e Alberto Sordi non sono chiamati
sul palco, solo citati di sfuggita.
Abbiamo letto un numero impressionante, ma sempre
insufficiente, di testi relativi a ogni episodio, a ogni
personaggio, ciascuno dei quali meriterebbe, e in certi
casi ha meritato, un intero volume, se non interi scaffali.
Ma a ogni capitoletto di questa ormai lunga vicenda
abbiamo cercato di dare un taglio narrativo, di partire
da un particolare più vivido (il rivoluzionario Bakunin
che fugge da Bologna travestito da prete, Roberto Saviano
sulla sua Vespa scassata in un'esplosiva piazza
di Napoli) per evitare ai nostri lettori la triste impressione
del grigiore scolastico. Sono 150 racconti contratti,
ridotti all'essenziale e dolorosamente privi di infiniti
risvolti, sacrifici dettati dalle necessità grafiche del
quotidiano torinese 'La Stampa' che ha avuto l'idea
e che ha pubblicato nei mesi scorsi queste pagine.
Il nostro intento era di offrire un'infarinatura di storia
d'Italia a tutti coloro che ne hanno perso memoria
o non l'hanno mai avuta. Si tratta di una categoria di persone che conosciamo bene, avendone fatto parte anche noi prima di metterci all'opera. Non che avessimo
dimenticato proprio tutto. Ma certo si trattava di
ricordi confusi. Ci è venuto il sospetto che non fossimo
i soli a trovarci in questa condizione. E, da buoni italiani,
abbiamo cercato di metterci una pezza.
L'impressione finale è che questa Patria sia una difficile
Patria, più volte sull'orlo del baratro, più volte nel
baratro precipitata, con continue riprese anche stupefacenti,
anche ammirevoli. C'è di che inorgoglirsi, ma
purtroppo anche di che vergognarsi. Un Paese irritante,
fastidioso, quasi sempre dilaniato da emotività contrapposte
e che potrebbe fare molto di più, come dicevano
gli insegnanti alle nostre mamme. E ovviamente
molto di più avremmo potuto fare anche noi, narrando
questa Patria nel bene e nel male.»
Anonimo -